Daniele Galliano- Catalogo Castelvecchi

 
Daniele Galliano - Catalogo.
Testi: Perrella Cristiana, Beatrice Luca.
F.to: 24×28; COL; rileg. brossura.
Editore: Castelvecchi, Roma, 1997.


Estratto:
Quando ti guardo mi si stringe il cuore...
(di Nicoletta Pollero)

Anche questa notte sono ripresi i pruriti, proprio alla vigilia della mia partenza.
Uno sfogo mai patito prima... piccole pustoline rosso sgargiante con la capocchia bianca... Sulla schiena, sul cuoio capelluto - orecchie comprese - sulla pancia e pure sui glutei, questa volta.
Come corollario a questa frenesia di unghie che strappano la pelle, si è aggiunta una scossa irresistibile alla gambe, una sorta di formicolio, interno, mentale, che si scarica in tensione muscolare.
"Ho il nervoso alle gambe" diceva mia madre, quando era costretta a stare a letto, durante la sua lunga malattia.
Nel tentativo di prendere sonno mi rigiro tra le lenzuola come un tarantolato, consapevole di svegliare Clara, che invece dorme beata al mio fianco, candida, protetta da un sogno divino... Ed io rimango ancora con la gola secca e le mani sudate di rabbia...
In uno scatto più irrefrenabile degli altri le sono addosso, rabbioso e in un crescendo parossistico sussurro:
- bastarda! ti odio. - e poi più forte - Clara, Clara, svegliati. SVEGLIATI -.
Invece la piccola continua a dormire, sempre più fastidiosamente deliziosa: un angioletto avvolto da piume d'oro, sistemate come un cuscino uscito da un libro di fiabe illustrate.
Osservo la linea perfetta delle ciglia che sigillano gli occhi e così pure il naso e le labbra socchiuse... Le caccerei due dita in gola...
Sembra quasi più giovane e la pelle si distende come una pianura compassionevole... Mi sto avvicinando alla morte, mi sto levando la pelle, affaticandomi inutilmente, preso da pensieri via via sempre più fastidiosi.
Non ci riuscirò mai più, starò sveglio in eterno, per tutte le notti dell'Universo che si stende fuori dalla finestra, dietro i vetri imperlati del sudore di questa notte malata.
la mamma lo diceva sempre:
- non c'è pace per i malvagi -. Quanto aveva ragione
... Questa voglia di esordire nel cuore della sacra oscurità con una bestemmia mai udita sulla faccia del pianeta.
...Non sono nient'altro che un piccolo uomo-fragola malata che ringhia sul cuscino.
Clara, bianca come la panna, soffice come il pane appena sfornato, a te piacciono le lenzuola ben tese e profumate di candore d'amore consumato tra carezze sottili e passionali, trascorse col fiato sospeso e, mentre sollevi il viso piena di commozione per un nonnulla, mi incenerisci con le tue lacrime.
A me dell'amore piace lo sporco e la sua poesia schizzata, consumata allo stretto di scenari per soli uomini o donne sole, rigorosamente bagnate! mi rilasso così. Una sega e una carota in culo di fronte al televisore.
Fammi 'sto piacere, levati dal letto.
Anche il ginocchio, Cristo Santo, incomincia a bruciacchiare, sempre di più, sino a colare in melmosa irritazione giù, nelle piante dei piedi scendendo lungo i polpacci. peli irti dal nervoso! immobile, trattengo il respiro per accertarmi dei progressivi livelli di acidoso dolore. Li si, proprio li, tutto intorno ai capezzoli!
non sopporto le coperte addosso, addosso a me.
soffocato, compresso dalla stizza.
Un fagotto disgustoso di rancore.
Come un valzer grottesco mi tornano in mente le giornate passate alla ricerca di un chiodo da battere, svogliatamente... "mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare...". Che orrore. Che vecchia canzone. Perché mi è venuta in mente?
È che ci godo ad allattare serpenti.
Che bel groviglio: aizzarli, stuzzicarli.
Lingue biforcute di incubi pilotati...
Ed ora: nessuna ballerina brasiliana culo alto belle tette sorriso bruno tropicale, o contorsioni di assatanate, agghindate con gonnellini di vibratori, su di me, in ogni angolo, in ogni buco del mio corpo. Io, il padrone di tutto, colui che pilota scenari rassicuranti di schiave con la lingua a penzoloni e il culo per aria.
Fatemi schiacciare un pisolino mentre mi lambite, laide cagne affamate, tutto il corpo con la pomata della vostra saliva... I'm your fucking master, baby!
Chiedimi scusa, adesso, baldracca.
Niente, neppure loro, che sono facili e docili da frustare, mentre tu, Clara chiara, tersa come l'oceano, mi giri intorno coi tuoi quotidiani tormenti di essere umano.
Chiedimi amore ancora una volta e ti appendo per i piedi, dalla finestra, con un filo da pesca.
Stupida, donna insensata, che ama le cose inutili... Ed io, più piccolo di te a rovistare soddisfazioni minime... Che nervoso... Mi viene da tirarti un calcio.
Anche quando mi prendi per la vita e, da dietro, mi sussurri i tuoi bisogni e mi allunghi un bacio che schiocca dietro le orecchie.
...Eppure, bei ricordi... Quella volta, quando finisti a fare la cameriera a Bellaria e mi telefonasti in preda al panico perché dilaniata dalle zanzare e dalla malinconia, maledicendo quell'urgenza di avere un po' di soldi. A costo di trasferirti all'Inferno, tu, che sei così delicata e non sopporti il sole e neppure il sale sulla pelle.
...Attraversando la pianura padana... Durante il viaggio guidavo con la testa impegnata ad architettare mille modi per rapirti.
Nel bel mezzo dell'afa.
Ciminiere e puzza di porcili.
Lungo la statale, si raggruppavano case tristi.
E poi, dal nulla di quella luce giallo ocra del tramonto romagnolo, sul ciglio della strada, stava un nero, più nero della notte: busto eretto, sguardo lontano, immerso in un alone di aristocratica memoria selvaggia.
Solo.
E l'aria intorno era morbida, un velluto raso che sfumava sull'albicocca ed avvolgeva come una camicia di forza il deserto dell'umanità sfigurata, delusa, ingannata, infine abbandonata.
E l'amore era un ricordo, un richiamo lontano, che pulsava flebile sotto il peso di quella scena un po' disperata.
Tutto il silenzio del cielo era piombato raggrumandosi nell'oscurità di quel corpo iniettato in uno spazio estremo, in una terra senza padroni se non l'ammasso del mistero che ci piove addosso, in certi momenti.
E poi l'estate senza di te, Clara, che pesava come pietre nello stomaco.
Tutti e due soli e serate poco divertenti. A Torino, la plumbea città spettrale con il miraggio dei monti azzurrini e nuvolosi - la domenica, con gli amici rimasti, si facevano gite per curarci dal caldo.
E guardando dalle cime ariose le gole che si prolungavano verso il profumo lontano del mare, pensavo al clima mite del tuo corpo, come una promessa che si sarebbe avverata solo in autunno. Invece ti ritrovai in anticipo sulle previsioni, più smunta di prima, magrina sino alla tenerezza, con un sorriso che ti divorava le guance, dritta e silenziosa, esattamente nel centro della hall della pensione.
Occhi sgranati di muta felicità, com'eri bella, anche con quell'espressione che sfiorava la demenza. allora ti amo santamente, come la mucca con dentro l'idea del vitellino, mentre bruca...
Un sospiro di sollievo.
Commuoversi.
A Londra, in coda per entrare nella metropolitana - puzza e squallore rutilante - avevo visto una coppia di mongoloidi baciarsi appassionatamente e stringersi ed abbracciarsi, sorridendosi, contenti, ed avevo pensato a noi due ed alla commozione dell'amore che trasfigura, che opacizza i difetti e l'arroganza del male che ci gira intorno.
Rassicurati, allora, ci lasciamo cadere, come due cristalli di sale in soluzione acquosa. Perdendo possesso dei sessi... Un corpo diverso, ne tuo, né mio.
Galleggiando ci facciamo leggeri, per poco tempo.
...Scivolare a un millimetro dalle tue labbra...
...Desiderare una divina leggerezza. E invece: due poveri esseri umani che pesano sulla superficie fragile dell'esistenza.
Ma... Chiusi nell'ardore del tuo corpo complesso, sono stato forse migliaia di volte, sempre rincuorato, in ultimo, assopito. Ricordo bene: la testa riversa a riprendere fiato.
Respiro lento perdendo il controllo. Le parole mi raggiungono pesanti, non so da dove, pilotate da parti nascoste di me.
Il mio cuore pompa un tonfo sordo. Sonno che arriva all'improvviso.
...E poi, una sensazione di bilico, di distanza viva, tra ricordo e sogno...
Sono io quell'uomo seduto nel parco, con te al fianco, mentre guardi raccolta in un punto lontano.
Il tuo profilo bianco, bordato di luce violetta. Impassibile.
E tutto intorno uno sfondo velato, in apnea.
Ricaccio impilate quelle forze innominabili che dentro me - nate con me - s'attorcigliano tra la bocca dello stomaco e la gola. Mai prima d'ora: un bisogno spaventoso di consolazione. Voglia di piangere e singhiozzare.
Lento si pare un varco come un sipario molle, nel mio cuore, e senza spostarti di un millimetro entri, in silenzio, e senza mutare d'espressione t'inciampi nelle mie braccia, ti rolli al mio corpo, mentre tutto è pesante d'impotenza e dici parole con gli occhi - "vorrei che tu mi scoppiassi dentro, dentro dove, dove non so".
Ed io sono spaventosamente amputato, cieco, confuso, stanco come un semi-morto che si sforza di raggiungere l'orizzonte del cielo che sfugge.

Prima dello strappo finale, prima del dolore che si sopporta in un attimo inchiodato, prima della frana, alla deriva di secoli interminabili.
In uno sforzo sovrumano, risalgo alla luce e mi urlo nelle orecchie, come un pazzo nel silenzio più denso, contenuto nel mio corpo, trattenuto dalla pelle, e ti vedo vicina a me e tu ti volti e non mi vedi e non mi parli.

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