Da qualche parte. Nell'oceano.

Trash Vortex, Garbage Patch.


Si chiama Trash Vortex o Garbage Patch, principalmente. Ma anche: Pacific Trash Vortex, Great Pacific Garbage Patch, Eastern Garbage Patch, the Asian Trash Trail; tanti nomi che fondamentalmente descrivono un unico fenomeno: l'accumularsi dei polimeri plastici nei mari.
Gli accumuli più noti sono presenti nella zona settentrionale dell'Oceano Pacifico. Più precisamente si parla della zona tra il Giappone, l'Alaska, la Florida e le isole Hawaii. 


Una zona vastissima.

Non bisogna però lasciarsi trarre in inganno dai nomi e dalle immagini che sovente in rete descrivono questo fenomeno. È erroneo infatti, immaginare un'isola di rifiuti ben distinti e riconoscibili a ricoprire le acque del Pacifico, magari pure visibile dal satellite. Si tratta invero, di una poltiglia di polimeri galleggiante estesa difformemente per un'area grande quanto il Texas che gira in una lenta spirale per effetto del vortice subtropicale del Nord Pacifico; una corrente oceanica a forma di vortice circolare che coinvolge per l'appunto, la zona dove è possibile osservare il Trash Vortex. In particolare, è molto probabile rilevare il fenomeno in due zone: una identificata come "Eastern Pacific Garbage Patch", compresa tra metà delle Hawaii e la California nel Grande Nord del Pacifico subtropicale, ed un'altra identificata come "Western Pacific Garbage Patch", collocata a sud della corrente Kuroshio, al largo della costa del Giappone.

Una poltiglia che non è immediatamente osservabile da una nave.

A differenza dei materiali biologici, la plastica non è sottoposta a biodegradazione bensì a fotodegradazione. Questo lento processo di degradazione per effetto delle radiazioni luminose, assieme all'azione meccanica delle onde che portano gli oggetti plastici a normale usura, riduce i detriti in frammenti sempre più piccoli fino a generare una poltiglia simile al placton naturale.
Il problema riguarda dunque la quantità della plastica, non la dimensione dei frammenti.

La scoperta.

È avvenuta nel 1997 da parte del capitano Charles Moore, che ha notato attorno alla sua barca un'enorme chiazza di frammenti di plastica non più grandi di un'unghia del mignolo. Da allora il fenomeno è oggetto di interesse scientifico, tanto che nel 2009, uno studio da parte di Katsuhiko Saido sulla plastica nei vortici, ha portato alla conclusione che la plastica non è indistruttibile; non si limita cioè a spezzarsi in minuscole parti, ma si decompone, e pure in tempi sorprendentemente più brevi di quanto non si pensasse in precedenza. Decomponendosi però rilascia sostanze dannose che inevitabilmente contaminano l'ambiente marino, entrando così a contatto del ciclo della catena alimentare.


Non fatevi ingannare.

Se cercate in rete è facile trovare molti miti su questo fenomeno. Uno fra tutti è quello visivo: è famosa l'immagine di un uomo che voga con una canoa tra i rifiuti galleggianti. La foto è vera, ma il luogo è sbagliato. L'immagine infatti è stata scattata al porto di Manila.
Chi diffonde questo tipo di idea, sia esso in buona fede o malafede, lascia credere che si parli di intere isole costituite da rifiuti.
Un altro mito è credere che il fenomeno distrugga l'ecosistema. In realtà ne sta cambiando gli equilibri, avvantaggiando alcune specie e penalizzandone altre. Nel particolare, si trovano avvantaggiate specie che operano su superfici dure, mentre le specie adatte al mare aperto ne sono svantaggiate.
Il biologo marino Erik Zettler chiama questo nuovo ecositema "plastisphere".

Ma le isole di rifiuti esistono davvero. Alcuni esempi.

Non è sbagliato pensare che molto del materiale ammassato in questi posti, vada a finire per costituire parte del materiale nei "vortex" e nelle "patch" oceaniche.
Thilafushi, Maldive.

Thilafushi. Maldive. Soprannominata "l'isola spazzatura", costituisce la discarica a cielo aperto dei villaggi turistici, dei resort e dei turisti che vagano per l'arcipelago. Tonnellate di rifiuti, ammassati, smistati e bruciati da lavoratori del Bangladesh, in una striscia di terra lunga 7km e larga 200m.
Saida trash mountain.

Saida. Libano. Una montagna di rifiuti alta 14m si affaccia direttamente sul mare.
11 marzo del 2011. Giappone. Tsunami. I suoi detriti finiscono direttamente nell'Oceano Pacifico per girovagare nel Trash Vortex.

E gli animali muoiono davvero. Un esempio.

Atollo di Midway, Hawaii. Nel mezzo del Pacific Trash Vortex. Un atollo di mezzo, anche per l'uomo che vi ha costruito un aeroporto di emergenza, ed anche per la fauna che vi ha costruito rifugio. Fra le varie specie, vi troviamo parecchi uccelli, tra cui gli Albatross. Proprio di questi non è raro trovare sulla superficie dell'isola carcasse di esemplari morti in seguito all'ingestione di parti in platica: tappi, accendini, brani di reti ed altri detriti che letteralmente vanno ad accumularsi riempiendo la pancia dell'uccello impedendogli di nutrirsi adeguatamente. La testimonianza, ci arriva da Chris Jordan con il documentario: Midway Film.

Fonti. 

In chiavi di ricerca, per testi, per immagini, per video.
- Trash Vortex
- Garbage Patch
- Manila Garbage River
- Eastern Pacific Garbage Patch
- Western Pacific Garbage Patch
- Charles Moore
- Katsuhiko Saido
- Erik Zettler
- Thilafushi, Coordinate: 4°10'57"N   73°26'37"E
- Saida, Coordinate: 33°33'3"N   35°21'52"E
- Midway Film
- De-mystifying Great Pacific Garbage Patch 

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