Quei corpi sulla cima dell'Everest.

Folla sull'Hillary Step, poco prima della vetta (via)

«La cosa più pericolosa sull’Everest», dice una guida, «sono le persone che tentano di scalarlo».


Vi è una zona, dopo gli 8000m di altezza, nota come: "death zone". In questa zona la pressione atmosferica ridotta dall'altitudine diminuisce la presenza di ossigeno. In questa zona il corpo umano reagisce violentemente alla nuova condizione anche dopo settimane di "acclimatazione" a quote più basse. Esso può incorrere nel congelamento, nel mal di montagna, nell'edema cerebrale e nell'edema polmonare.

Qui potete trovare un approfondimento.

Una zona dove si può esperire questo tipo di condizione fisica è sulla catena montuosa dell'Himalaya, della quale il posto fra tutti più "conosciuto" è ormai il monte Everest. Una meta ambita da molti alpinisti e non solo, tanto da avere perso il mito di essere una montagna inespugnabile ed avere aperto la strada a molti impreparati, ma paganti. Come si nota dall'immagine d'intestazione ci sono giorni che la vetta è davvero affollata. Come spiegato nella didascalia, quel giorno raggiunsero la vetta 234 persone e 4 persero la vita.
Sì, perché nonostante sia relativamente facile pensare di raggiungere la vetta semplicemente sborsando dai 30 mila ai 120 mila dollari tra guida e attrezzattura, è relativamente facile non fare ritorno a casa, nemmeno in veste di salma, proprio a causa degli effetti dell'altitudine sul corpo e l'eccessiva disinvoltura degli alpinisti improvvisati. A dire il vero non sono solo alpinisti inesperti a perire, ma pure alpinisti e guide di grande esperienza


Si stima che sulla death zone dell'Everest vi siano conservati in stato di congelamento e/o essicazione, almeno 200 corpi, alcuni ormai da più di 50 anni (qui, una lista di persone decedute sull'Everest). Non c'è da sorprendersi molto se di norma i corpi non vengono recuperati e, anzi, molto spesso sono abbandonati così come sono: lassù non arrivano mezzi di soccorso, si fa tutto a piedi e braccia in condizioni di sola soppravivenza; non c'è tempo per recuperare un corpo. In pratica, un cimitero a cielo aperto.

Alcuni di questi corpi hanno ricevuto un nome. È il caso di "green boots", un alpinista parte di una spedizione indiana, che suo malgrado è diventato un riferimento per tutte le spedizioni nel sentiero lato nord.

Green Boots

Non mostrerò qui altre foto. Il web ne è pieno ed ogni corpo ha la sua storia. Per approfondire:
Qui
E qui
E anche qui
E qui un articolo in italiano


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