The Battle We Didn’t Choose
Un pugno allo stomaco.
The Battle We Didn’t Choose parla di situazioni, emozioni, momenti vissuti da una coppia durante il decorso di un cancro al seno. Questa è la storia di Jennifer e Angelo.Angelo, come può fare solo un marito e pure fotografo, ci mostra tutta la ferocia della malattia che si mostra nei primi periodi in ospedale, nei capelli che cadono assieme alle forze, ai sorrisi ed alla vitalità del corpo; negli sguardi spaventati misti a compassione degli estranei, nella disperazione, nei piccoli gesti quotidiani; così normali da essere eccezionali, nelle espressioni di insopportabile dolore, nella vicinanza degli amici; quelli che rimangono e dunque quelli veri, nel prete che legge qualche passo della Bibbia vicino al letto, nel letto vuoto. Nella lapide.
Traduco e riporto per intero la testimonianza di Angelo e le foto di Jennifer così come sono.
Fonte in lingua originale
La battaglia che non abbiamo scelto: la lotta di mia moglie con il cancro al seno.
Di Angelo Merendino.Sapevo fin dal primo minuto che vidi Jennifer che lei era per me. Jen era bellissima e il tipo di persona che tutti vorebbero nella loro vita: lei ascoltava, e dopo averle parlato mi sentivo come se fossi l'unica persona che conta.
Pochi mesi dopo trovai finalmente il coraggio di chiedere a Jen di uscire, dicendole: "Ho una cotta per te." Al momento Jen viveva a New York mentre io ero a Cleveland. Parlammo al telefono per ore e ore: volevamo sapere tutto l'uno dell'altra; dopo 6 mesi di relazione distanza mi traferii a New York.
Ricordo che mi recai in città con un anello di fidanzamento che bruciava nella tasca e la ragazza dei miei sogni in attesa, lì per me. Quella sera, dopo una cena presso il nostro ristorante italiano preferito, mi inginocchiai e proposi a Jennifer di sposarmi. Per tutta la corsa in taxi rimasimo abbracciati stretti fissando l'anello al dito di Jen, eravamo perdutamente innamorati.
Nel settembre del 2007 ci sposammo a Central Park e non avremmo potuto chiedere un giorno più perfetto. Quando vidi per la prima volta Jen camminare per strada non potei trattenere le lacrime, sembrava così bella e piena di vita. Ancora oggi non riesco a spiegare perché piansi, sentivo la felicità più grande che mai avrei immaginato potesse esistere in questo mondo.
Ricordo di aver guardato nei grandi occhi castani di Jen per l'intera cerimonia, pareva contenessero il mondo intero.
Io ancora fatico a credere che 5 mesi dopo quella giornata perfetta Jen mi chiamò dandomi la notizia che i nostri medici le ddiagnosticarono il cancro. Mi precipitai a casa per stare con Jennifer. Del tutto annichilito, mi ricordo che dissi a Jen: "Noi abbiamo l'un l'altro, supereremo questo insieme." Gli occhi di Jen si illuminarono.
Il nostro futuro di neosposini da quel momento fu spezzato da qualcosa di completamente fuori dal nostro controllo, ma abbracciammo lo stesso ogni momento senza mai lasciare che il cancro intaccasse il nostro amore.
Ogni nuova sfida ci avvicinava l'un l'altra sempre più. Le parole diventarono sempre meno importanti, eravamo uniti nel profondo. Mi ricordo di un momento in particolare: Jen era appena stata ricoverata in ospedale, accusando un dolore tremendo; alzando lo sguardo verso di me dal suo letto d'ospedale, Jen mi disse: "Guardami negli occhi, è l'unico modo che ho per far fronte a questo dolore."
Nel corso della nostra battaglia abbiamo avuto la fortuna di avere un gruppo di sostegno forte, ma non è facile far capire alla gente cosa fosse diventata la nostra vita giorno per giorno e le difficoltà che dovemmo affrontare.
Jen accusava dolore cronico a causa degli effetti collaterali di quasi 4 anni di trattamento e di farmaci. A 39 anni, Jen cominciò ad usare un deambulatore ed essere costantemente consapevole di ogni urto e livido.
I ricoveri in ospedale di 10 e più giorni non erano rari. Le frequenti visite dal dottore portarono a battagliare con le compagnie di assicurazione. La paura, l'ansia e le preoccupazioni erano costanti.
Purtroppo, la maggior parte delle persone non vogliono sentire queste realtà e a volte, sentivamo che il supporto degli altri andava via svanendo. Altri sopravvissuti al cancro condividono questa perdita. La gente suppone che il trattamento rende meglio, che le cose diventano OK, che la vita torna alla "normalità". Tuttavia, non vi è normalità nel mondo del cancro. I sopravvissuti al cancro devono definire un nuovo senso di normalità, spesso quotidianamente. Come potevano gli altri capire quello che eravamo costretti a vivere tutti i giorni?
Le mie fotografie mostrano la vita quotidiana umanizzando il volto del cancro sulla faccia di mia moglie, mostrano la sfida, la difficoltà, la paura, la tristezza e la solitudine che affrontammo, che Jennifer affrontò; mostrano come combatté la malattia. Più importante di tutto, mostrano il nostro amore. Queste fotografie non definiscono noi, ma siamo noi.
Quando iniziai a fare queste fotografie pensai che proprio il fatto di essere fotografie di mia moglie malata di cancro fosse sufficiente per le persone a capire quello che stavo facendo. Poi mi resi conto che dovevo ancora fare foto davvero forti. Solo perché il contenuto è potente non significa che la luce, la composizione, l'esposizione e la più importante di tutti, il sentimento, possono essere ignorati.
A quel punto ho decisi che il modo migliore per fare queste fotografie era quello di scattare quando sentivo qualcosa nella pancia. Mi fidai del mio istinto e capii che se una cosa mi commuoveva allora dovevo fotografarla. Per contribuire a rendere questo possibile, la mia macchina fotografica era sempre pronta.
La maggior parte di queste foto sono state fatte con una Nikon D7000, che ha 2 impostazioni utente, più la modalità manuale. Sapevo che nel nostro bagno e cucina l'esposizione che volevo era 1/125th af / 4, ISO 1600, quindi ho programmato questo come User Mode 1. Per il resto dell'appartamento volevo essere intorno ISO 3200, 1/60h af/2.8 e ho impostato la modalità utente 2 di conseguenza.
La mia macchina fotografica era sempre a portata di mano e così, quando qualcosa mi colpiva nella pancia, scattavo.
Durante i miei primi anni come un fotografo spesso sentivo che alle mie fotografie mancava qualcosa di reale. Volevo fare fotografie che dovevano fa pensare la gente, fotografie da lasciare dopo che io me ne sarò andato. Non avevo idea che questo sarebbe successo fotografando la mia defunta moglie mentre lottava per la sua vita. La fotografia diventò per me una necessità quando le metastasi del cancro di Jennifer si diffusero al fegato ed alle ossa. In quel momento ci rendemmo conto conto che la nostra famiglia e gli amici non avevano capito quanto sia grave fosse la situazione, la mia macchina fotografica diventò la mia voce.
La mia macchina fotografica diventò anche un modo per me di sfuggire alla realtà che l'amore della mia vita stava morendo proprio davanti a me e non c'era nulla che potessi fare per fermare questo. Spesso avrei voluto ignorare le mie emozioni perché dovevo solo rimanere forte per Jennifer... Sapevo che ci sarebbe stato un giorno in cui sarei stato in grado di affrontare questi sentimenti.
Queste fotografie sono ormai terapeutiche per me. Guardo fotografie di Jennifer e ricordo il nostro amore e tutte le sfide che abbiamo affrontato insieme. Senza queste fotografie non riesco ad immaginare come avrei affrontato la perdita di mia moglie. Dico alla gente tutto il tempo che essi dovrebbero fare fotografie della loro vita e la tecnologia ha fatto questo in modo molto più accessibile per tutti.
Una delle lezioni più importanti che ho imparato dal fare queste fotografie è l'importanza della fiducia, rispetto e onestà. Jennifer si fidava di me. Sapeva che non avrei mai fatto una fotografia di lei non appropriata. Questa fiducia permetteva a Jennifer di essere assolutamente spontanea. Lo scorso ottobre ho partecipato alla Eddie Adams Workshop di Upstate New York. Lynn Johnson ha parlato quel fine settimana e lei ha detto qualcosa che risuonava con me. Lynn ha detto, "le persone che stiamo fotografando non sono soggetti, sono esseri umani." Penso a questo ogni volta che faccio una fotografia.
L'autore: Angelo Merendino è un fotografo che vive a New York. Potete seguirlo su Twitter qui . Il progetto "La battaglia non abbiamo scelto" può essere trovata nella sua interezza qui.
PS: so che la traduzione non è delle migliori. Chi può mi aiuti a far di meglio.
La malattia, nella società dell'efficenza, è un grosso tabù
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