Le cose accadono all’improvviso.

Le cose accadono all’improvviso. Senza, una spiegazione plausibile. Accadono perché noi non decidiamo niente, tranne quando abbiamo l’occasione di farlo. Così almeno, abbiamo la possibilità di porci delle domande, questo sì. Questa è stata una strana notte, ricca di imprevisti, ricca di quelle cose che spesso possono sembrare seccature. E lo sono, in effetti, lo sono. Ma il caso, la vita, sa sostituire la nostra cecità alla verità, solo grazie alle mazzate. Càpita che ci si immagina un fine, che si crede scontanto, per vederlo poi interrotto da una gomma a terra, da un credito telefonico ridotto a zero, per arrivare a conoscere qualcosa di grande, passando nel frattempo per altri eventi magari poi, tutt’altro che esecrabili. È così, tramite queste seccature, che stanotte ho assistito alla caduta di un insignificante albero morto marcio. Così, tornando forzatamente a piedi dal posto di lavoro, pochi chilometri prima di casa, ho assistito alla rinuncia di un albero. L’ho visto cadere in uno schianto di rami impazziti schizzare ovunque lasciando un tronco lungo steso di netto per tutta la larghezza della statale storto e nudo come un umidiccio cazzo di cane eretto, l’ho visto schiantarsi dopo un “CRACK!” tetro e pernicioso eppure, eppure così calmo, tranquillo, sorridente… lento, a suo modo. E tutto a pochi metri da me. Quasi avesse voluto mostrarmi tutta la sua magia in un solo colpo, sempre che ne abbia avuta una. Non c’era nessuno in strada, nessuno ha gridato, nessuno si è affacciato alla finestra, non un cuore ha fatto bum-bum, nemmeno il mio. Una sorta di euforia sentivo, quello sì: l’euforia della distruzione. Tutto intorno andava avanti lo stesso, tutto il mondo era conscio e indifferente rispetto alla scelta di uno stupido albero morto marcio. E così, dopo averlo osservato un momento, nel suo letto di rami spezzati, ecco che arriva una macchina con un tizio dentro.
“Tutto a posto?” chiede.
“Sì” rispondo io.
“Cosa è successo?” chiede ancora.
“È solo caduto un albero” dico io senza rispondere.
“…cosa si fa in questi casi?” chiede titubante.
“Credo si debbano chiamare i pompieri…” dico.
E così è andata.
Rimasto solo, bastava solo difendere quel corpo morto marcio. Difenderlo dalle auto che veloci e ubriache volevano attentare la sua morte. Poche auto, a dire la verità.
Ma era straordinario: io, baluardo di un corpo inerte e gli altri, attentatori di uno stronzo morto che bloccava loro la strada. Era straordinario difendere quel morto che, dopotutto, rappresentava un gesto estremo. Quante volte le stesse auto, con gli stessi occupanti, sono passate davanti a quell’albero senza mai notarlo veramente? Dovevi vederli quegli occupanti, dovevi vederli con quanta solerzia ingranavano la retro, la prima, e se ne partivano sgommando… per loro quell’albero di merda era solo la fonte di una buona bestemmia, dio bò*a. Altri, per lo più gente da fuori, chiedevano informazioni per una deviazione e poi, mogi, mogi, se ne andavano, un po’ dispiaciuti, un po’ preoccupati. Per via della deviazione, immagino. E poi, lucori blu. Pompieri. Motosega strepitante. E l’albero, cadavere morto già marcio, in poco tempo a pezzi, in disparte, sul ciglio della strada e, in parte, nel fossato di lato.

Nella sua morte, durata poco più di mezz’ora, era più vivo che mai.

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