Fener. Un'estate.

Fener è un paesino in pedemontana. Ora c'è una lapide in quei luoghi e nelle immediate circostanze, una lapide che solo i miei occhi vedono e sotto la lapide, sulla superficie del terreno che essa ricopre, un me stesso embrionale che ora non esiste più. Sono andato a trovarlo.
12.08.07
Ore 23.
Il meteo è buono. Salgo sulla Vespa 50 e parto da casa, verso e rose. Troverò qualcuno, poi, alla chiusura, mi muoverò da qualche parte. Così almeno le 4 del mattino arriveranno più in fretta.
13.08.07
Ore 4.45.
Tappa a casa, raccolgo alcune cose utili per il viaggio. Parto e mi dirigo verso nord.
Quasi le 5.
Vedo i netturbini scaldare i motori dei loro camion/compressori parcheggiati nello spiazzo di lato alla statale. Ne incontro qualcuno di operativo. Assaporo il tanfo della monnezza.
Per strada, oltre ai cammion netturbini, solo radi veicoli commerciali lanciati a velocità improbabili e qualche auto.
Ore 5.15.
Raggiunto Vallà, le nubi contrastano col cielo: albeggia.
Ore 5.22.
Pausa cicca davanti al ristorante. Arrotolo e accendo. Sento suoni di annaffiatoi. Annoto i primi appunti.
Troppa luce: non posso pisciare.
Aspetto che le auto in strada passino via e piscio mentre ancora fumo. Fumo negli occhi. Piango artificialmente.
Ore 5.32.
Riparto. Poco dopo intravedo sullo sfondo la prima collina. Qualche nube mi preoccupa. Mi calmo poco dopo.
Ore 6.05.
Sono a Fener. Ho fatto presto, troppo presto. I bar sono ancora chiusi.
Sono nel parco: in quel parco che gli anni '90 ringraziano per quel favoloso festival che non si organizza più e tutti rimpiangono.
Sono davanti al laghetto della diga appoggiato al parapetto che al tempo non c'era. 10 m più in basso l'acqua, la stessa che di notte da quel punto, ha l'aspetto di un'enorme massa nera che per questo chiamo: Lagoscuro. Senza parapetto incuteva timore. C'erano delle mani, un tempo, che dal lago sottostante mi spingevano ad esso. Non erano abbastanza forti.
Mi guardo intorno ed esamino questo posto morto. Ripieno di cose morte. È qui che ho portato la prima scopata, è qui che per le prime volte uscivo dalla mentalità di una famiglia dagli orizzonti nebbiosi ed è qui che ho sigillato le amicizie che più a lungo hanno saputo trovare un senso.
Sigaretta.
Mi propongo di aspettare e così di girare per il parco e nelle immediate circostanze, rivisitando quei luoghi che ora sono solo segni su di una lapide immaginaria.
Non c'è ancora il sole.
Tra le 06.15 e le 7.30.
Aspetto che il bar della stazione apra. Il cartello esposto indica le 6.30, ma aprirà solo alle 7. Ordino una birra piccola e la barista, una donna brutta con tette alle caviglia, mi fa notare per ben due volte che sono le 7 del mattino. Alla terza le dico che sono arrivato da Padova, le indico la Vespa parcheggiata lì di fronte, e che sono partito di notte. Finge di capire. Vai a cagare, dai penso e non dico.
Ore 8.00.
Eccomi sul greto del Piave, poco dopo Fener. Ho steso la trapunta nera e ora boh, berrò una birra, mangerò e dormirò. Mi guardo attorno. Sono passato attraverso una cava. Altre vie non erano possibili. A 250 m da qui c'è un ponte di ferro. Un ponte di ferro del cazzo con la strada in assi di legno che sferragliano ad ogni auto che passa.
C'è vento. Si sta bene e i sassi sono piuttosto comodi. Ma è difficile girare il tabacco. Meglio! direbbe mia madre. Meglio un cazzo, dico io.
Ore 8.34.
Mi stendo e dico addio.

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